Ogni genere è contraddistinto da un colore, in modo da poterli riconoscere più facilmente. Se vi piace un libro in particolare, controllatene anche l'autore, potreste trovare altre opere interessanti!!!

giovedì 21 aprile 2016

DEI DELITTI E DELLE PENE





TITOLO: DEI DELITTI E DELLE PENE

AUTORE: Cesare Beccaria

CASA EDITRICE: Tascabili economici Newton

N. PAGINE: 98

VALUTAZIONE: 4/5




Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro che ha dato avvio al diritto moderno. Un uomo che credeva in una legge più umana. Molto interessante!”.

TRAMA:Pubblicato in forma anonima nel 1764, "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria rappresenta una tappa essenziale nell'evoluzione del diritto sostanziale e processuale penale, tanto da far considerare il suo autore uno dei fondatori della scienza della legislazione. Seguita in questa edizione dal famoso Commento di Voltaire, l'opera viene presentata da Roberto Rampioni, noto avvocato penalista italiano. Il merito di Beccaria consiste nell'aver condensato in modo organico e completo in questo piccolo rivoluzionario opuscolo tutte le critiche maturate nell'alveo del pensiero illuminista contro gli eccessi e gli orrori del pensiero inquisitorio del tempo, in particolare la tortura e la pena di morte. Le cronache giudiziarie dei nostri giorni ci rendono consapevoli della straordinaria attualità dell'insegnamento autenticamente "liberale" di Beccaria.


RECENSIONE:L’illuminista Beccaria nel 1764 pubblicò, in forma anonima, la sua opera più importante, considerata una delle prime che dettero avvio al diritto moderno. Tradotta due anni dopo in francese raggiunse la fama Europea e non solo. Beccaria con “Dei delitti e delle pene” analizza il sistema giudiziario vigente andando ad analizzarne in maniera sintetica i vari difetti, proponendo dei fini e dei mezzi più validi per raggiungere lo scopo. Analizza la giustizia in maniera dettagliata andando a indagare e dimostrare quanti innocenti possono essere vittime di una parola. Pone l’accento sulla tortura che è commessa su chi non è ancora reo, visto che la sentenza non è stata ancora emessa e tocca poi uno dei motivi che hanno reso quest’opera così famosa, ovvero la pena di morte, con queste parole: “Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”. Beccaria è diretto, chiaro e deciso. “Volete prevenire i delitti? Fate che le leggi sian chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impegnata a distruggerle”. Evidenzia il rapporto fra il delitto e la pena, una pena che deve essere certa, chiara e commisurata al giusto delitto. “Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”. Quello che ho trovato in quest’opera è l’umanità, la chiarezza e l’intenzione di trovare soluzioni valide e applicabili. Importane è il lavoro che ha fatto sulle interpretazioni delle leggi, l’importanza dell’educazione e la tutela degli innocenti. Molti autori hanno tratto ispirazione da quest’opera per realizzarne delle loro. Il linguaggio e la scrittura utilizzati sono quelli del tempo. Alla fine dell’opera si trova il “Commento di Voltaire” che non aggiunge niente a quello che è stato già detto, ma che ne da una sua interpretazione più “pratica” andando ad analizzare sentenze realmente accadute. Una curiosità che non sapevo è che Beccaria è il nonno materno di Alessandro Manzoni. Un’opera che fanno ancora giustamente studiare all’università e che consiglio a tutti. Beccaria provò a gettare le basi per il futuro giuridico e qualcuno i suoi consigli li ha seguiti. Buona lettura!

lunedì 18 aprile 2016

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI





TITOLO: LA FATTORIA DEGLI ANIMALI

AUTORE: GEORGE ORWELL

CASA EDITRICE: Mondadori

N. PAGINE: 140

VALUTAZIONE: 5




Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro davvero riflessivo che non lascia indifferenti. Imperdibile, adatto a tutti.

TRAMA:È il racconto di come gli animali di una fattoria si ribellino e, dopo aver cacciato il proprietario, tentino di creare un nuovo ordine fondato su un concetto utopistico di uguaglianza. Ma ben presto emerge tra loro una nuova classe di burocrati, i maiali, che con la loro astuzia, la loro cupidigia e il loro egoismo s'impongono in modo prepotente e tirannico sugli altri animali più docili e semplici d'animo. Gli elevati ideali di uguaglianza e fraternità proclamati al tempo della rivoluzione vittoriosa vengono traditi e, sotto l'oppressione di Napoleon, il grosso maiale che riesce ad accentrare in sé tutte le leve del potere e ad appropriarsi degli utili della fattoria, tutti gli altri animali finiscono per conoscere gli stessi maltrattamenti e le stesse privazioni di prima.


RECENSIONE:Leggere “La fattoria degli animali” e rimanerne indifferenti è qualcosa che non può succedere. Ho finito di leggere questo libro una settimana fa e sono ancora in difficoltà nel trovare le giuste parole per rendere il mio pensiero. Questo libro mi ha sconvolto. Orwell con un linguaggio semplice e diretto ci presenta, se così si può definire, una satira politica. “La fattoria degli animali” cela molto più di quel che vuol mostrare. Se agli occhi di un profano può quasi sembrare una storiella senza un lieto fine, per un lettore più attendo, ma neanche più di tanto, la critica di Orwell per il comunismo e per tutti i governi totalitari è palese. I protagonisti sono gli animali di una fattoria patronale, che decidono di ribellarsi al padrone, attraverso la rivoluzione, uno strumento necessario per diventare liberi e finalmente tutti uguali. Il passare da “Fattoria Padronale” a “Fattoria degli Animali” può sembrare un sogno che si realizza, ben presto diventerà altro: “Questo lavoro sarebbe stato assolutamente volontario; chi se ne fosse astenuto però avrebbe avuta ridotta di metà la sua razione”. Orwell ci mostra il corso degli eventi, di come si possa cercare il nemico ovunque, della necessità di un capo espiatorio su cui riversare i problemi, senza dimenticare l’ingenuità e il terrore che può nascere nei deboli. Di come un buon oratore può far diventare bianco qualcosa che invece è nero e di come la difficoltà di farsi avanti e di esporsi ci fa diventare se non proprio dei vigliacchi comunque degli assecondatori passivi. Nella mente del lettore diventa molto semplice sostituire il ruolo degli animali con quello degli uomini. Personalmente ho trovato particolarmente toccante il cambiamento dei “I sette comandamenti” che venivamo “leggermente” modificati per trovare il vantaggio di chi prima era uguale agli altri. Orwell ci ha mostrato tutto ed è difficile non puntare il dito sul singolo o su chi passivamente ha accettato gli eventi. Però forse in maniera involontaria, ci ha anche mostrato di come il singolo difficilmente poteva fare la differenza. Una lettura che consiglio. Le riflessioni possono solamente aiutarci a vedere che purtroppo la società, anche da noi, non è poi così diversa, le caste ci sono ancora. Buona lettura!

IL CLUB DELLE LETTERE SEGRETE





TITOLO: IL CLUB DELLE LETTERE SEGRETE

AUTORE: Angeles Donate

CASA EDITRICE: Feltrinelli

N. PAGINE: 347

VALUTAZIONE: 3




Consigliato a chi ha voglia di leggere una storia che parla di solidarietà, di aiuto reciproco. Ideale per il pubblico femminile.

TRAMA:È arrivato l'inverno a Porvenir, e ha portato con sé cattive notizie: l'ufficio postale sta per essere chiuso. Sms, mail e whatsapp hanno avuto la meglio persino in questo paesino arroccato tra le montagne. Sara, l'unica postina della zona, è nata e cresciuta a Porvenir e passa molto tempo con la sua vicina Rosa, un'arzilla ottantenne che farebbe qualsiasi cosa per non separarsi da lei e risparmiarle un dispiacere. Ma cosa può inventarsi Rosa per evitare che la vita di una delle persone che le stanno più a cuore venga stravolta? Forse potrebbe scrivere una lettera che rimanda da ben sessant'anni e invitare la persona che la riceverà a fare altrettanto, scrivendo a sua volta a qualcuno. Pian piano, quel piccolo gesto innescherà una catena epistolare, rimettendo in moto il lavoro di Sara e creando non poco trambusto fra gli abitanti del piccolo borgo. Perché una lettera tira l'altra, come un bacio.


RECENSIONE:Tutto nel piccolo paesino di Porvenir procedeva come al solito, quando all’inizio dell’inverno, la scarsa affluenza di lavoro mette a rischio la postina Sara, che per mancanza di lettere può essere trasferita in città. Sara è una donna con tre figli a carico, abbandonata dal marito, è nata e cresciuta in quel paesino di poco più di mille anime e la partenza per la città la spaventa e la preoccupa. La Signora Rosa è la sua vicina; non avendo avuto figli, vede Sara come qualcosa di più di una semplice amica. Questa situazione la tocca così profondamente da decidere di mettere in gioco i suoi sentimenti e di creare una catena. “In città dicono che non ci piace scrivere e ricevere lettere. Come si permettono!” L’idea dell'originale vecchietta consiste nello scrivere lettere senza il mittente e mantenerne il segreto, e in poche pagine mettere nero su bianco qualcosa che a uno sconosciuto è più facile raccontare. L’importante è non interrompere la catena. Angeles Donate ci porta fra le viuzze di un paesino in cui la maggior parte delle persone si conosce, ma fino ad un certo punto. L’autrice va oltre quella facciata, mettendo a nudo i suoi personaggi e rivelandoci qualcosa d’intimo di ognuno di loro. La scrittrice parte davvero molto bene e per metà del romanzo mi sono anch’io sentita parte di quel progetto, ma nel momento più importante, qualcosa viene a mancare. Leggendo ti rendi dell'intento della scrittrice che vorrebbe dare quel qualcosa in più, ma spesso il troppo stroppia e sul finale sei consapevole che il meglio è già passato. È un romanzo che parla di solidarietà, amore, responsabilità e rinascita. Di chi è partito, di chi è rimasto e di chi ritorna. Una lettura che forse vedo più vicina al mondo femminile. Per concludere vi lascio con questa frase: “Ma invece di scrivere la terza riga, la penna si è animata di vita propria… Le dita non obbediscono più a te, ma alla penna. Corrono leggere e tu diventi un mero spettatore che può solo leggere la scia che lasciano sulla carta”. Questo è per scusarmi, in alcuni casi le mie recensioni sono lunghe perché le dita corrono sulla tastiera senza rendermene conto. Parto sempre con l'idea che voglio essere sintetica ma poi tutto diventa indispensabile. Buona lettura! 

mercoledì 13 aprile 2016

FAVOLA D'AMORE






TITOLO: FAVOLA D’AMORE

AUTORE: Hermann Hesse

CASA EDITRICE: Nuovi Equilibri

N. PAGINE: 20

VALUTAZIONE: 4



Consigliato a chi ha voglia di leggere una piccola favola, adatta sia per gli adulti che per i bambini”.

TRAMA:"Solo in questo consiste per me la vita, nel fluttuare tra due poli, nell'oscillazione tra i due pilastri portanti del mondo. Vorrei con gioia far vedere sempre la beata varietà del mondo e anche sempre ricordare che al fondo di questa varietà vi è un'unità". Dopo il 1915 gli scritti di Hesse si richiamano spesso ad una delle concezioni piú antiche dell'umanità, la filosofia cinese dello 'yin' e 'yang', forze opposte da cui scaturisce la tensione necessaria alla vita, alla trasformazione. Una fiaba d'amore gaia e luminosa, attinta dalla saggezza del "Siddharta", dove parola e disegno si fondono come uomo e donna, come sole e luna, a raccontare il paradiso del perenne rinnovamento. Con un testo di Volker Michels e con le tavole del manoscritto originale illustrato dall'autore.

RECENSIONE:Hesse scrisse questa favola per la cantante mozartiana Ruth Wenger, che divenne poi la sua seconda moglie due anni dopo. La casa editrice “Nuovi Equilibri” ha pubblicato “Le trasformazioni di Pictor” (questo è il titolo della favola) con i disegni originali di Hesse. È proprio questa la peculiarità dell’opera che insieme allo scritto mostra la vera intenzione dell’autore e cosa ci può essere di meglio che un’immagine per una favola? Pictor è l’emblema dell’uomo che per la fretta e la mancanza di coraggio rischia di perdersi il bello della vita e che solo l’amore potrà fargli aprire gli occhi e farlo rinascere. La favola è molto breve ma intensa. Hesse l’ha scritta in un periodo molto particolare della sua vita e nel testo se ne sente l’intensità. La lunghezza della favola è di solo sei pagine che vanno poi accompagnate alle immagini. Una curiosità sull’opera:

“Solo in vecchiaia ne ha autorizzato la pubblicazione. A questo proposito è interessante anche il modo in cui ha fatto impaginare un’edizione speciale di 650 copie promossa nel 1925 dalla “Società degli amici del libro” di Chemnitz. Il testo venne stampato sempre solo sulla pagina sinistra, mentre le pagine a destra del libricino rimanevano in bianco perché Hesse potesse illustrarle individualmente di propria mano”. Buona lettura!

martedì 12 aprile 2016

L’ARTE DI TRATTARE LE DONNE






TITOLO: L’ARTE DI TRATTARE LE DONNE

AUTORE: Arthur Schopenhauer

CASA EDITRICE: Adelphi

N. PAGINE: 102

VALUTAZIONE: 3/4



Consigliato a chi ha voglia di leggere un librino che va preso con molta ironia, specialmente da noi donne!”

TRAMA:Fin dai tempi antichi, come insegna il caso di Socrate e Santippe, il rapporto tra il filosofo e le donne è stato conflittuale. E, se ripercorriamo la lunga storia di questo conflitto, ne ricaviamo l’impressione che la filosofia sia una faccenda prettamente maschile. La necessità di estirpare siffatto pregiudizio si impone con le grandi figure femminili dell’Illuminismo e del Romanticismo, quando prende avvio quella che sarà l’emancipazione della donna. Scottato dall’esperienza patita in casa con la madre, gran dama salottiera, Schopenhauer avverte con lungimirante intuito l’incombente pericolo, e oppone resistenza. Leva quindi la sua voce irriverente per mettere in guardia il sesso maschile dalle suadenti insidie, dai fatali pericoli e dagli snervanti contrasti che inevitabilmente riserva il rapporto con le donne. Le sue riflessioni su questo tema si configurano come un’«Arte di trattare adeguatamente il gentil sesso»: un’arte che, se negli intenti di Schopenhauer mirava soprattutto a tenerne a bada le intemperanze, offre a noi, uomini e donne di oggi, una lettura ricca di inconfutabili intuizioni e di tenaci, e spesso esilaranti, capricci maschili.


RECENSIONE:Nella sua introduzione a quest’opera, Franco Volpi mette subito le mani avanti: “Nel leggere il presente trattatello vanno tenuti presenti i condizionamenti e le circostanze, voglio dire il grave fardello della tradizione maschilistica e gli atavici pregiudizi che gravano sulla penna di Schopenhauer”. Per una femminista come me non è stato facile approcciarmi a un autore misogino come Schopenhauer. Grazie sempre all’introduzione di Volpi, non sono partita “con il dito puntato” e alla fine posso dirmi di essermi fatta qualche risata. Questo “trattatello” è l’insieme di scritti editi e inediti ripresi da alcune sue opere. L’avversione di Schopenhauer nei confronti delle donne, nasce sicuramente dal difficile rapporto del filosofo con la madre “Il giovane filosofo avrebbe invece voluto riconquistare la genitrice al focolare domestico, cioè a se stesso, ma, scaricato a vantaggio dell’amante, prese in odio la situazione, la madre, le donne, il mondo, e se ne andò di casa”. “L’arte di trattare le donne” è diviso in diciassette mini capitoli, e ognuno affronta un argomento diverso in cui la donna ne è la protagonista. Fra i più “divertenti” posso menzionare: “I suoi difetti”, “Il matrimonio” e “I diritti delle donne”. Da questo trattato, risalta ovviamente un’avversione nei confronti della donna molto forte che però fa anche capire quanta attenzione, l’autore abbia dedicato al gentil sesso per riuscire a vederne così tante sfaccettature e purtroppo devo riscontrare che in molte mie conoscenze maschili qualche pensiero di Schopenhauer è condiviso. Avranno forse conosciuto donne sbagliate?!? Lo consiglio specialmente al pubblico femminile, per far capire cosa possa passare nella testa di alcuni uomini! Avvicinatevi all’opera con molta ironia e allegria, alla fine Schopenhauer, visto il suo passato, “Predicava male ma razzolava bene”. Buona lettura! 

lunedì 4 aprile 2016

SENSO






TITOLO: SENSO

AUTORE: Camillo Boito

CASA EDITRICE: Leone

N. PAGINE: 62

VALUTAZIONE: 4




Consigliato a chi ha voglia di leggere un classico, in cui la follia di una donna ha il ruolo centrale”.

TRAMA:"Forte, bello, perverso, vile, mi piacque". Con queste parole la contessa Livia Serpieri qualifica la natura della sua morbosa passione per il tenente Ruz. Ha inizio una travolgente vicenda sentimentale, che farà vivere alla protagonista di questo racconto l'adulterio, ma anche una cocentissima delusione e la più spietata delle vendette. Con Senso, Boito ci offre la chiave d'accesso a una stanza tormentata dal desiderio bruciante e da un'appassionata torbidezza. Un cuore femminile ricco di frenetici entusiasmi e splendida abiezione, disegnato attraverso una prosa, che, per converso, spicca per la sua limpida eleganza. A questo racconto Luchino Visconti si ispirò per l'omonimo film del 1954 con Alida Valli nella parte della contessa Serpieri.


RECENSIONE:“Senso” è un cortoromanzo d’amore pubblicato da Camillo Boito nel 1883. L’opera è scritta sotto forma di diario e la protagonista è la Contessa Livia Serpieri, che alla soglia dei quarantenni, grazie alla corte di un avvocatino che gli fa tornare in mente gli episodi della sua gioventù, ci racconta la storia del suo grande amore. Era il 1865 e la novella sposa aveva ventidue anni e si trovava a Venezia con il conte, un uomo molto più vecchio di lei. La scelta non le era stata imposta dalla famiglia ma proprio da lei, che in quest’unione non vedeva amore, ma vedeva molta convenienza, fra cui carrozze, brillanti, abiti di velluto, titolo… Tutto inizia quando Livia si ritrova infatuata di Remigio, tenente austriaco, che con la nostra protagonista ha molto in comune. Oltre ad avere un aspetto molto piacevole, questo tenente Ruz era un giocatore di carte, uno sperperatore e soprattutto un uomo di poco onore. Insomma Livia, senza rendersene conto s’innamora proprio di un uomo così simile a lei. Ma gli eventi prendono una brutta piega e la Contessa non è una donna abituata a perdere. Boito ci presenta una donna vanitosa, egoista, e superficiale che diventa poi una donna gelosa, ossessionata e vendicativa. Una donna ferita può diventare davvero molto pericolosa. Quello che colpisce il lettore, o almeno me, è che Livia è anche una donna non pentita ma recidiva. Sullo sfondo di un’Italia che cambia, in piena guerra, questa storia d’amore, se così si può chiamarla, porta alla luce molte debolezze umane. Tutto questo avviene in circa cinquanta pagine da cui poi Luchino Visconti ha preso ispirazione per la realizzazione del suo film del 1954. In realtà non ha preso solo spunto, ci sono delle modifiche all’interno della trama, ma sono lievi, quello su cui invece ha lavorato il regista è lo sfondo politico e rivoluzionario del tempo. Visconti approfondisce una trama un po’ scarna, “condendola” con degli ingredienti che la vanno a completare. Ho apprezzato molto il film e lo consiglio a tutti quelli che si avvicineranno a quest’opera. Per concludere, posso dire di aver trovato una degna compagna della Marchesa de Merteuil, protagonista del libro “Le relazioni pericolose”, anche se in Livia ho trovato, anche se credevo impossibile, della cattiveria in più. Insieme avrebbero fatto faville…o si sarebbero fatte fuori a vicenda. Buona lettura!

L’ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE





TITOLO: L’ULTIMO GIORNO DI UN CONDANNATO A MORTE

AUTORE: Victor Hugo

CASA EDITRICE: Tascabili economici Newton

N. PAGINE: 95

VALUTAZIONE: 5



Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro riflessivo sulla pena di morte scritto duecento anni fa, ma ancora attuale”.

TRAMA:Hugo parla a nome dell'umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate. Un'angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine dell'attesa, venga essa con la liberazione o con l'oblio.

RECENSIONE:“L’ultimo giorno di un condannato a morte” è uno di quei libri che non lascia indifferenti, sia per il messaggio che porta sia per l’intensità con cui viene colpito il lettore. Dalla quinta edizione in poi, pubblicata nel 1832, il libro si presenta composto anche da due parti che precedono il libro. La prima è una prefazione, fatta da Hugo in cui la sua dichiarazione contro la pena di morte è ben argomentata e decisa, con esempi da brividi, “Niente boia dove basta il carceriere”. La seconda parte è “Una commedia a proposito di una tragedia”, in cui Hugo immagina la società del suo tempo, alle prese con la lettura del suo romanzo, in cui tutti i protagonisti sono indignati, ma anche tutti informati.
“Bisogna convenire che i costumi si stanno depravando di giorno in giorno. Mio Dio, che idea orribile! Sviluppare, scavare, analizzare, una dopo l’altra e senza trascurarne nessuna, tutte le sofferenze fisiche, tutte le torture morali che deve provare un uomo condannato a morte, il giorno dell’esecuzione! Non è atroce? Vi rendete conto, signore, che si è potuto trovare uno scrittore per questa idea, e un pubblico per questo scrittore?”

La terza parte è l’opera, anzi il capolavoro vero e proprio. Hugo, sotto forma di diario, ci racconta le ultime settimane di vita di un condannato a morte. Di lui sappiamo pochissimo, ma i pochi stralci che ci regala sono importanti. Molto toccante è la parte dedicata alla figlia e al loro incontro. Hugo condanna la pena di morte e ci da anche un piccolo assaggio di quello che aspetta coloro che invece andranno al bagno penale (grazie a “Papillon” di Henri Charriere ho il quadro della situazione chiaro su questo argomento) e di come la società lì “accoglierà” il giorno della fine della pena. Tramite il suo protagonista, Hugo ci mostra “una progressione sempre crescente di dolori, in questa specie di autopsia intellettuale di un condannato”. La sensazione che mi è rimasta più addosso e la continua speranza dell’uomo, fino alla fine. Lei è sempre lì e quando si riaccende ogni volta, è più dura da digerire. E poi l’attesa, il non sapere e il popolo, si proprio quest’ultimo ha un ruolo tutto suo. Dopo la lettura di questo testo, ho deciso di proseguire la lettura di altre opere su questo tema. Un giovane Hugo, che spera di colpire la società, ci mostra qualcosa che purtroppo non è stato ancora bloccato duecento anni dopo. Lo consiglio a tutti, sia per l’intensità e la profondità dell’argomento sia per la riflessione e il pensiero che rimangono al lettore. Buona lettura!