TITOLO:
SOSTIENE PEREIRA. UNA TESTIMONIANZA.
AUTORE: ANTONIO
TABUCCHI
CASA
EDITRICE:Feltrinelli
N.
PAGINE:Circa 200
VALUTAZIONE: 4/5
“Consigliato a chi ha voglia di leggere un libro che ci faccia
capire come un semplice uomo posso dare una svolta alla sua vita e cambiarne il
corso. Molto riflessivo e scritto bene”.
TRAMA:Lisbona,
un fatidico agosto del 1938, la solitudine, il sogno, la coscienza di vivere e
di scegliere, dentro la Storia. Un grande romanzo civile. Due premi nazionali
come il Viareggio-Repaci e il Campiello e il Prix Européen Jean Monnet.
Ventidue traduzioni all'estero. Una memorabile interpretazione cinematografica
di Marcello Mastroianni. Una storia che continua a suscitare il fascino e la
meraviglia delle opere destinate a durare nel tempo.
RECENSIONE:Durante
la lettura di questo testo mi sentivo come un'osservatrice che dall'alto
valutava tutto quello che Pereira sosteneva. Per tutta la lettura, ma direi anche
giunta alla fine, una sensazione di perplessità mi accompagnava. Avevo letto
così tanto bene di questo libro e poi mi ritrovavo a leggere la telecronaca indiretta
dell’uomo delle limonate. Finché dopo un paio di giorni, dalla conclusione della
lettura, è come se davanti ai miei occhi si fosse diradata la nebbia e si fosse
presentato il vero messaggio dell’uomo delle limonate. Pereira, come avrete
capito, pur essendo un tantino fuori forma, non riusciva proprio a rinunciare a
una buona limonata fresca con tanto zucchero. Siamo a Lisbona, nel 1938 e da
poco il nostro protagonista è diventato il direttore della pagina culturale del
“Lisboa”, un giornale del pomeriggio. E’ un uomo solitario, parla con il
ritratto defunto della moglie e la sua vita va avanti intervallata da omelette
aromatiche e ovviamente limonate. Pereira sostiene di definirsi così: “sono
solo un oscuro direttore della pagina culturale di un modesto giornale del
pomeriggio, faccio qualche ricorrenza di scrittori illustri e traduco racconti
dell’Ottocento francese, di più non si può fare….Gli venne in mente la bizzarra
idea che lui, forse, non viveva, ma era come se fosse già morto. Da quando era
scomparsa sua moglie lui viveva come se fosse morto”. Finché un incontro con la
morte, con l’anima, con un uomo, una donna o un dottore, cambiano definitivamente
la sua vita. Trabucchi ci racconta con gli occhi di Pereira come il popolo
portoghese si stava preparando alla seconda guerra mondiale e come seguiva le
vicende della Spagna. La censura, le soffiate, la diffidenza e la “follia” di
un uomo che rinuncia alla normalità per tornare a vivere. Un libro molto
riflessivo, a cui tuttora penso, che non mi ha subito preso ma che una volta
diradata la nebbia mi ha proprio conquistata.
TITOLO: IL
DISPREZZO
AUTORE: Albero
Moravia
CASA
EDITRICE:Bompiani
N.
PAGINE: 262
VALUTAZIONE: 4/5
“Consigliato a chi ha voglia di leggere un romanzo che ci fa riflettere sull’importanza
della comunicazione nella coppia e come le cose non dette posso portare a
situazioni irreparabili”.
TRAMA:Pubblicato per la prima
volta nel 1945, questo romanzo costituisce una tappa fondamentale del viaggio
di Moravia attraverso le istituzioni borghesi e il loro scacco. Protagonista è
uno scrittore di sceneggiature i cui primi rapporti con la moglie si illuminano
e si complicano a contatto con il mondo della produzione cinematografica, della
carriera e del successo. A differenza de L'amore coniugale che racconta la
storia di un tradimento, Il disprezzo muove da un lato positivo, un caso di
fedeltà matrimoniale, per chiarirne tutta la natura di illusione, di reale
sconfitta e di profonda, modernissima contraddizione.
RECENSIONE:"Il disprezzo" è
un romanzo degli anni '50. Moravia rappresenta la società del tempo; sono
cambiati i tempi ed i contesti ma la realtà nel suo insieme, come la descrive
lui, è ancora molto attuale. Riccardo Molteni è uno sceneggiatore che ha sempre
avuto la passione per il teatro solo che per rendere più agevole e tranquilla
la vita della moglie Emilia, decide, per soldi, di accettare di lavorare per il
cinema, alle dipendenze del produttore Battista. La sua è una vita normale
finché non si accorge di un cambiamento:
"Questa storia vuole raccontare come, mentre io continuavo ad amarla e a non giudicarla, Emilia, invece, scoprisse o credesse di scoprire alcuni miei difetti e mi giudicasse e cessasse di amarmi in conseguenza". Tutte le certezze di Riccardo vanno in frantumi ed il lavoro e la sua vita diventano intollerabili e insostenibili. Questo romanzo è principalmente un'autoanalisi con pochi dialoghi. A tutti nella vita succede di farsi alcune domande, come fa Riccardo: "Come ho fatto per ridurmi così? A che punto sono arrivato?" Moravia ci racconta delle difficoltà di vivere la vita senza più uno scopo, di accettare per necessità lavori senza passione, di come nelle coppie possa mancare il dialogo e la comunicazione. All'interno del romanzo troviamo anche un'interessantissima interpretazione dell'Odissea nei personaggi di Ulisse e Penelope. Moravia scrive chiaro e in maniera sintetica, poche descrizioni (le uniche sono dedicate ai quattro personaggi) e pochi dialoghi. Quello che scrive, arriva. Dopo la fine della lettura, ho continuato a pensare a questo romanzo. Il disprezzo mi ha fatto porre delle domande a cui sto ancora cercando le risposte.
"Questa storia vuole raccontare come, mentre io continuavo ad amarla e a non giudicarla, Emilia, invece, scoprisse o credesse di scoprire alcuni miei difetti e mi giudicasse e cessasse di amarmi in conseguenza". Tutte le certezze di Riccardo vanno in frantumi ed il lavoro e la sua vita diventano intollerabili e insostenibili. Questo romanzo è principalmente un'autoanalisi con pochi dialoghi. A tutti nella vita succede di farsi alcune domande, come fa Riccardo: "Come ho fatto per ridurmi così? A che punto sono arrivato?" Moravia ci racconta delle difficoltà di vivere la vita senza più uno scopo, di accettare per necessità lavori senza passione, di come nelle coppie possa mancare il dialogo e la comunicazione. All'interno del romanzo troviamo anche un'interessantissima interpretazione dell'Odissea nei personaggi di Ulisse e Penelope. Moravia scrive chiaro e in maniera sintetica, poche descrizioni (le uniche sono dedicate ai quattro personaggi) e pochi dialoghi. Quello che scrive, arriva. Dopo la fine della lettura, ho continuato a pensare a questo romanzo. Il disprezzo mi ha fatto porre delle domande a cui sto ancora cercando le risposte.
TITOLO: ASPETTANDO
I BARBARI
AUTORE: J.
M. Coetzee
CASA
EDITRICE: Einaudi
N.
PAGINE: 198
VALUTAZIONE: 4/5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un libro che ci faccia
riflettere e ci faccia capire da che parte sta il bene ed il male. Un libro
forte, lascia poco all’immaginazione”.
TRAMA:Un
magistrato bianco, che per decenni si è occupato degli eventi del piccolo
insediamento di frontiera in cui vive, ignorando la guerra tra i barbari e
l'Impero che pure incombe sulla cittadina, si trova all'improvviso a
confrontarsi con la realtà: dapprima comincia a simpatizzare con i prigionieri
angariati durante gli interrogatori, poi si innamora di una di loro, una
barbara. Tanto l'amore quanto la dura condizione carceraria lo spingono a
compiere, finalmente, un atto di ribellione.
RECENSIONE:Coetzee,
Premio Nobel per la Letteratura nel 2003, è uno scrittore sudafricano bianco.
"Aspettando i barbari" è stato scritto e pubblicato nel 1980, in
piena Apartheid, di cui lo scrittore era uno dei maggiori oppositori. Con
questo testo, Coetzee, ci porta a riflettere ed a domandarci: ma quali sono i
veri barbari? "Aspettando i barbari" ci racconta la storia di un
magistrato bianco, il cui lavoro consisteva
nell'amministrare un piccolo paesino di frontiera. La frontiera che
divide l'impero dai barbari. Dopo tantissimi anni di pace, dalla capitale
arriva la Terza Divisione, una delle più spietate, con a capo il Colonnello
Joll, che porta la voce che i barbari cominciano a premere lungo la frontiera e
con la missione di fermarli. Questa sembra proprio una buona motivazione per
torturare tutti quelli che trovano. Coetzee con questa opera ci lascia una vera
e propria lezione di vita; gli occhi ci vengono aperti con l'intento di
guardare oltre le apparenze al punto da chiedersi da che parte della frontiera
sono i barbari. Il suo protagonista inizialmente viveva nell'opacità, ma arriva
ad un punto, "nel silenzio di quel chiaro mattino scopro un sentimento
oscuro annidato ai confini della mia coscienza", in cui decide di stravolgere
la sua vita ed attuare una propria ribellione. E' un libro che consiglio, non è
una lettura semplice, è molto intenso e riflessivo e bisogna interpretarlo con
l'idea e le emozioni che l'autore viveva e provava in quel determinato periodo.
La crudeltà, l'indifferenza e il "credere alle voci", sono gli
elementi caratterizzanti di quest'opera.
Vi lascio con questa
frase:
"Su tutte le facce
che ho intorno, perfino su quelle sorridenti, vedo la stessa espressione: non
c'è odio, né sete di sangue, ma una curiosità così intensa che sembra
prosciugare i corpi, lasciando vivi solo gli occhi, organi di un nuovo,
sconvolgente appetito".
TITOLO: IL
VISCONTE DIMEZZATO
AUTORE: Italo
Calvino
CASA
EDITRICE:Mondadori
N.
PAGINE: 100
VALUTAZIONE: 4
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un libro fra realtà e
fantasia, che mette in contrapposizione il bene con il male. Leggero, si legge
velocemente.
TRAMA:Il
narratore rievoca la storia dello zio, Medardo di Torralba, che, combattendo in
Boemia contro i Turchi, è tagliato a metà da un colpo di cannone. Le due parti
del corpo, perfettamente conservate, mostrano diversi caratteri: la prima metà
mostra un'indole crudele, infierisce sui sudditi e insidia la bella Pamela,
mentre l'altra metà, quella buona, si prodiga per riparare ai misfatti
dell'altra e chiede in sposa Pamela. I due visconti dimezzati si sfidano a
duello e nello scontro cominciano a sanguinare nelle rispettive parti monche.
Un medico ne approfitta per riunire le due metà del corpo e restituire alla
vita un visconte intero, in cui si mescolano male e bene.
RECENSIONE:Siamo
negli anni '50 e Calvino decide di iniziare il suo romanzo come se fosse una
fiaba, ma al posto del "C'era una volta.." decide di partire con
"C'era una guerra". Infatti tutto comincia quando il visconte Medardo
di Terralba decide di combattere contro i Turchi al servizio dell'Imperatore e
ne ricava: "Gli spararono una cannonata in pieno petto. Medardo di
Terralba saltò in aria...a farla breve, se n'era salvato solo metà". Il
visconte "era vivo e dimezzato", una parte cattiva e l'altra buona;
due parti contrapposte che in ognuno di noi esistono e coesistono ma che
separate possano davvero dire la loro. "Io ero intero e non capivo, e mi
muovevo sordo". La storia/fiaba ci viene raccontata dal nipote del
visconte in cento pagine. L'intento di Carlino ovviamente è molto importante e
direi anche filosofico, vi lascio con una frase, dell'autore, che rappresenta
quello che ci voleva trasmettere:"Avevo questa immagine di un uomo
tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo
dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo:
tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di
noi stessi e non l'altra". Ovviamente lo consiglio, il testo come avrete
capito è un pò fantasioso ma molto divertente e anche riflessivo. A volte il
cattivo è troppo cattivo, ma anche il buono che è troppo buono può nuocere.
TITOLO: UNA SOLITUDINE TROPPO RUMOROSA
AUTORE: Bohumil Hrabal
CASA EDITRICE: Einaudi
N. PAGINE: 122
VALUTAZIONE: 4
“Consigliato a chi ha voglia di leggere una lettura breve ma molto profonda. L’autore ci mostra i cambiamenti della società su cui è bene riflettere. Non è una lettura per tutti”.
TRAMA:A Praga, nelle viscere di un vecchio palazzo, un uomo, Hanta, lavora da anni a una pressa meccanica trasformando libri destinati al macero in parallelepipedi sigillati e armoniosi, morti e vivi a un tempo, perché in ciascuno di essi pulsa un libro che egli vi ha imprigionato, aperto su una frase, un pensiero: sono frammenti di Erasmo e Laozi, di Hölderlin e Kant, del Talmud, di Nietzsche, di Goethe. Professionista per necessità della distruzione dei libri, Hanta li ricrea incessantemente sotto forma di messaggi simbolici, rinnovando a ogni istante il prodigio del pensiero creativo che sgorga spontaneo al di là e nonostante i modelli canonici della società e della cultura.
RECENSIONE:Hanta da trentacinque anni lavora con la carta vecchia. Il suo lavoro consiste in "una strage degli innocenti"; ogni volta con la forca deve prendere la carta ed i libri che nessuno vuole più e li deve buttare nella pressa che li trasformerà in dei pacchi compatti. Ma Hanta non è solo un imballatore, lui è un "vecchio imballatore", un uomo che quel lavoro lo fa con amore e dedizione. Ama così tanto i libri da non riuscire a non salvarne sempre qualcuno, al punto che in casa sua non c'è più spazio libero. Hanta lavora a mani nude per gustare sulle dita la carta. La sua vita scorre così per trentacinque anni, in "una solitudine troppo rumorosa", con i suoi continui monologhi con gli autori che legge, parla anche con Gesù e Laozi. Il suo stile di vita è però a rischio a causa della modernità e dei cambiamenti Hrabal con il suo stile originale, ci racconta il suo protagonista. L'amore per i libri e la letteratura "condiscono" questo romanzo. Ma Hrabal soprattutto ci fa vedere la nuova società ceca. I giovani che diventano "i nuovi imballatori", facendo diventare un'arte solo un semplice mestiere.
"pacchi di libri accatastati fin sopra le sponde, carichi interi che finivano direttamente al macero, senza che neppure una pagina imbrattasse occhi umani o mani o cervello umani o cuore".
Fra passato e presente, in periodo post-bellico, in neanche cento pagine, con topi, presse e libri, vi troverete immersi in una lettura singolare, non leggera e molto profonda.
"con un libro in mano apro gli occhi su un mondo diverso da quello dove appunto stavo, perché io quando incomincio a leggere sto proprio altrove, sto nel testo, io mi meraviglio e devo colpevolmente ammettere di essere stato in un sogno, in un mondo più bello, di essere stato nel cuore stesso della verità". Buona lettura!!
TITOLO: LUCERTOLA
AUTORE: Banana
Yoshimoto
CASA
EDITRICE: Feltrinelli
N.
PAGINE: 117
VALUTAZIONE: 4
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere dei racconti che
colpiscono il lettore, dove in poche pagine si racconta la trasformazione della
vita dei personaggi”.
TRAMA:Sei
bozzoli di preziosa seta esistenziale. Sei fili tesi dal destino. Sei racconti
tessuti in una Tokyo sfolgorante di luci notturne e pulsante di vita. tutti
feriti, chi da un trauma infantile, chi da un abbandono, chi da una storia
d'amore tormentata, i protagonisti si sono chiusi in un guscio che li protegge
ma insieme li separa dal mondo. Le loro esistenze sembrerebbero destinate a
scorrere per sempre senza direzione, senza senso, senza sorprese, quando,
improvvisa, si manifesta una possibilità di cambiamento radicale, la speranza
di un rivolgimento. Ed ecco che sensazioni dimenticate si affacciano di nuovo
limpide alla memoria, rimettendo in moto la ruota del tempo, della vita.
RECENSIONE:Non
conoscevo Banana Yoshimoto “personalmente”, nel senso che ne avevo sentito
parlare, ma non avevo mai letto niente di lei. Quando mi è stato consigliato “Lucertola”
ho capito che forse potevo colmare questa mia lacuna. “Lucertola” è una piccola
raccolta di sei racconti racchiusi in poco più di cento pagine, scritti dall’autrice
nell’arco di due anni. Tutti ambientati a Tokyo, ci mostrano una città che
dorme poco, sempre attiva e viva. Una città in cui i nostri protagonisti affrontano
la loro trasformazione, non perdendo mai la speranza. Sei storie diverse ma
tutte con il solito filo conduttore, la rinascita, una nuova possibilità. Fatti
e personaggi messi a nudo. La Yoshimoto riesce in poche pagine a farti vedere l’anima
dei suoi protagonisti, lei te la presenta, te la fa vedere, diventa quasi
palpabile e poi la lascia andare per la sua strada, una strada che si porta
dietro molto dolore e voglia di riscatto. I racconti che personalmente mi hanno
più colpito e che ho trovato anche più completi sono “Strana storia sulla
sponda del fiume” e “Lucertola” e aggiungerei anche “Sangue e acqua”. La
Yoshimoto, preciso che mi posso basare solo su questa breve raccolta, ha uno
stile molto semplice, racconta di persone comuni rendendole però speciali. Una
piacevole “conoscenza” che approfondirò sicuramente. Buona lettura.
““Dai
che è una bella lettera”, disse Akira continuando a guardare il video, senza
girarsi verso di me.
“L’hai
letta?” chiesi sorpresa.
“No,
ho visto la tua faccia mentre la leggevi” rispose.”
TITOLO: L’ULTIMO
GIORNO DI UN CONDANNATO A
MORTE
AUTORE: Victor
Hugo
CASA
EDITRICE: Tascabili economici Newton
N.
PAGINE: 95
VALUTAZIONE: 5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un libro riflessivo sulla
pena di morte scritto duecento anni fa, ma ancora attuale”.
TRAMA:Hugo
parla a nome dell'umanità, come sempre, e lo fa attraverso la voce di un uomo
qualunque, di un condannato qualunque, di un miserabile che rappresenta tutti i
miserabili di tutte le nazioni e tutte le epoche. Un crimine di cui non
conosciamo i dettagli lo ha fatto gettare in una cella. Persone di cui non
conosciamo il nome dispongono della sua vita, come divinità autoproclamate.
Un'angoscia di cui conosciamo fin troppo bene la lama lo tortura, giorno dopo
giorno, e gli fa desiderare che il tempo corra sempre più veloce. Verso la fine
dell'attesa, venga essa con la liberazione o con l'oblio.
RECENSIONE:“L’ultimo
giorno di un condannato a morte” è uno di quei libri che non lascia
indifferenti, sia per il messaggio che porta sia per l’intensità con cui viene
colpito il lettore. Dalla quinta edizione in poi, pubblicata nel 1832, il libro
si presenta composto anche da due parti che precedono il libro. La prima è una
prefazione, fatta da Hugo in cui la sua dichiarazione contro la pena di morte è
ben argomentata e decisa, con esempi da brividi, “Niente boia dove basta il
carceriere”. La seconda parte è “Una commedia a proposito di una tragedia”, in
cui Hugo immagina la società del suo tempo, alle prese con la lettura del suo
romanzo, in cui tutti i protagonisti sono indignati, ma anche tutti informati.
“Bisogna convenire che i
costumi si stanno depravando di giorno in giorno. Mio Dio, che idea orribile!
Sviluppare, scavare, analizzare, una dopo l’altra e senza trascurarne nessuna,
tutte le sofferenze fisiche, tutte le torture morali che deve provare un uomo
condannato a morte, il giorno dell’esecuzione! Non è atroce? Vi rendete conto,
signore, che si è potuto trovare uno scrittore per questa idea, e un pubblico
per questo scrittore?”
La terza parte è l’opera,
anzi il capolavoro vero e proprio. Hugo, sotto forma di diario, ci racconta le
ultime settimane di vita di un condannato a morte. Di lui sappiamo pochissimo,
ma i pochi stralci che ci regala sono importanti. Molto toccante è la parte
dedicata alla figlia e al loro incontro. Hugo condanna la pena di morte e ci da
anche un piccolo assaggio di quello che aspetta coloro che invece andranno al
bagno penale (grazie a “Papillon” di Henri Charriere ho il quadro della
situazione chiaro su questo argomento) e di come la società lì “accoglierà” il
giorno della fine della pena. Tramite il suo protagonista, Hugo ci mostra “una
progressione sempre crescente di dolori, in questa specie di autopsia
intellettuale di un condannato”. La sensazione che mi è rimasta più addosso e
la continua speranza dell’uomo, fino alla fine. Lei è sempre lì e quando si
riaccende ogni volta, è più dura da digerire. E poi l’attesa, il non sapere e
il popolo, si proprio quest’ultimo ha un ruolo tutto suo. Dopo la lettura di
questo testo, ho deciso di proseguire la lettura di altre opere su questo tema.
Un giovane Hugo, che spera di colpire la società, ci mostra qualcosa che
purtroppo non è stato ancora bloccato duecento anni dopo. Lo consiglio a tutti,
sia per l’intensità e la profondità dell’argomento sia per la riflessione e il
pensiero che rimangono al lettore. Buona lettura!
TITOLO: LA
FATTORIA DEGLI ANIMALI
AUTORE: GEORGE
ORWELL
CASA
EDITRICE: Mondadori
N.
PAGINE: 140
VALUTAZIONE:
5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un libro davvero
riflessivo che non lascia indifferenti. Imperdibile, adatto a tutti.
TRAMA:È
il racconto di come gli animali di una fattoria si ribellino e, dopo aver
cacciato il proprietario, tentino di creare un nuovo ordine fondato su un
concetto utopistico di uguaglianza. Ma ben presto emerge tra loro una nuova
classe di burocrati, i maiali, che con la loro astuzia, la loro cupidigia e il
loro egoismo s'impongono in modo prepotente e tirannico sugli altri animali più
docili e semplici d'animo. Gli elevati ideali di uguaglianza e fraternità
proclamati al tempo della rivoluzione vittoriosa vengono traditi e, sotto
l'oppressione di Napoleon, il grosso maiale che riesce ad accentrare in sé
tutte le leve del potere e ad appropriarsi degli utili della fattoria, tutti
gli altri animali finiscono per conoscere gli stessi maltrattamenti e le stesse
privazioni di prima.
RECENSIONE:Leggere
“La fattoria degli animali” e rimanerne indifferenti è qualcosa che non può
succedere. Ho finito di leggere questo libro una settimana fa e sono ancora in
difficoltà nel trovare le giuste parole per rendere il mio pensiero. Questo
libro mi ha sconvolto. Orwell con un linguaggio semplice e diretto ci presenta,
se così si può definire, una satira politica. “La fattoria degli animali” cela
molto più di quel che vuol mostrare. Se agli occhi di un profano può quasi
sembrare una storiella senza un lieto fine, per un lettore più attendo, ma
neanche più di tanto, la critica di Orwell per il comunismo e per tutti i
governi totalitari è palese. I protagonisti sono gli animali di una fattoria
patronale, che decidono di ribellarsi al padrone, attraverso la rivoluzione,
uno strumento necessario per diventare liberi e finalmente tutti uguali. Il
passare da “Fattoria Padronale” a “Fattoria degli Animali” può sembrare un
sogno che si realizza, ben presto diventerà altro: “Questo lavoro sarebbe stato
assolutamente volontario; chi se ne fosse astenuto però avrebbe avuta ridotta
di metà la sua razione”. Orwell ci mostra il corso degli eventi, di come si
possa cercare il nemico ovunque, della necessità di un capo espiatorio su cui
riversare i problemi, senza dimenticare l’ingenuità e il terrore che può
nascere nei deboli. Di come un buon oratore può far diventare bianco qualcosa
che invece è nero e di come la difficoltà di farsi avanti e di esporsi ci fa
diventare se non proprio dei vigliacchi comunque degli assecondatori passivi. Nella
mente del lettore diventa molto semplice sostituire il ruolo degli animali con
quello degli uomini. Personalmente ho trovato particolarmente toccante il
cambiamento dei “I sette comandamenti” che venivamo “leggermente” modificati
per trovare il vantaggio di chi prima era uguale agli altri. Orwell ci ha
mostrato tutto ed è difficile non puntare il dito sul singolo o su chi
passivamente ha accettato gli eventi. Però forse in maniera involontaria, ci ha
anche mostrato di come il singolo difficilmente poteva fare la differenza. Una
lettura che consiglio. Le riflessioni possono solamente aiutarci a vedere che
purtroppo la società, anche da noi, non è poi così diversa, le caste ci sono
ancora. Buona lettura!
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