TITOLO: L’ESCLUSA
AUTORE: Luigi
Pirandello
CASA
EDITRICE: Newton Compton
N.
PAGINE: 192
VALUTAZIONE: 4/5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un Pirandello agli esordi
come romanziere, che ci presenta una donna forte ed indipendente in una Sicilia
ottusa e non propensa al perdono”.
TRAMA:A
questo romanzo di impianto naturalistico, Pirandello lavorò in tempi diversi e
ne trasse anche una commedia: L'uomo, la bestia e la virtù. Si narra la storia di
Marta, che viene cacciata di casa dal marito dietro il sospetto di un
tradimento che si riduce invece a qualche lettera appassionata e
filosoficheggiante che le indirizza un intellettuale del luogo, Gregorio
Alvignani, deputato al Parlamento. Creduta colpevole da tutti e persino dal
padre, Marta, dopo aver cercato di guadagnarsi la vita in paese, accetta un
posto di maestra a Palermo. Sarà qui che tornerà ad affacciarsi l'ombra del
marito e che lei, giovane e bella, diventerà facilmente vittima dell'Alvignani.
Ma la sua scelta la porterà al distacco da tutti coloro che l'avevano esclusa.
RECENSIONE:Con
uno stile molto Pirandelliano inizia "L'esclusa". Un inizio un pò
ironico e in alcuni tratti divertente, celano quello che diventerà una vera e
propria tragedia. La tragedia di Marta, espulsa e condannata senza remissione. Siamo
in Sicilia, Rocco Pentàgora scopre che la moglie Marta riceve ormai da alcuni
mesi le lettere di un innamorato. Anche se la questione non va oltre questo,
ovvero l'aver solo accettato e risposto a queste lettere (senza averlo detto al
marito), e pur non avendo mai incontrato lo spasimante, il marito Rocco si
sente comunque tradito e decide di buttar fuori di casa la moglie, la quale
viene bollata come adultera. Sembra poi che la famiglia di Rocco non sia nuova
a questo genere di cose: "Fece con una mano le corna e le agitò in aria.
-Caro mio, vedi queste? Per noi, stemma di famiglia! Non bisogna farsene".
Marta si ritrova ad essere esclusa, abbandonata dal marito, evitata dal padre al quale ha portato disonore, è calunniata dal suocero e da tutto il paese. Una donna perduta che grazie alla sola forza in se stessa tenterà di andare avanti. Solo la madre, la sorella Maria ed un'amica le resteranno vicine. Senza considerare poi che le disgrazie non vengano mai sole.
"Sentiva penetrarsi dal convincimento che lei sola era l'esclusa, lei sola non avrebbe più ritrovato il suo posto, checché facesse; per lei sola non sarebbe ritornata la vita d'un tempo".
-Caro mio, vedi queste? Per noi, stemma di famiglia! Non bisogna farsene".
Marta si ritrova ad essere esclusa, abbandonata dal marito, evitata dal padre al quale ha portato disonore, è calunniata dal suocero e da tutto il paese. Una donna perduta che grazie alla sola forza in se stessa tenterà di andare avanti. Solo la madre, la sorella Maria ed un'amica le resteranno vicine. Senza considerare poi che le disgrazie non vengano mai sole.
"Sentiva penetrarsi dal convincimento che lei sola era l'esclusa, lei sola non avrebbe più ritrovato il suo posto, checché facesse; per lei sola non sarebbe ritornata la vita d'un tempo".
Un giovane Pirandello ci
porta in una Sicilia spietata, pettegola e che non perdona, in cui si da più
credito alle voci che hai fatti, una Sicilia in cui una donna sola deve
affrontare mille battaglie per sopravvivere e che a volte non sono neanche
sufficienti. Un personaggio femminile molto forte e indipendente, con qualcosa
di rotto dentro davvero difficile da risanare. Visto i tempi che corrono e le
notizie che si sentono, forse i temi dell'esclusa non sono poi così lontani da
noi.
TITOLO: MEMORIE
DI UN CACCIATORE
AUTORE: Ivan
Turgenev
CASA
EDITRICE: Garzanti
N.
PAGINE: 380
VALUTAZIONE: 5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere dei bellissimi racconti,
in puro stile russo che raccontano della Russia di una volta”.
TRAMA:Quando
apparvero, tra il 1847 e il 1850, i racconti raccolti in Memorie di un
cacciatore suscitarono grande impressione nel pubblico, che li lesse come un
atto di denuncia sociale: le condizioni miserevoli dei contadini, il dispotismo
dei proprietari, il processo di impoverimento delle campagne, descritti con
un’evidenza così incisiva da suscitare emozione. I racconti rivelano altri
aspetti dell’arte di Turgenev: il sentimento della natura, il respiro della
steppa, le voci del bosco, i colori del cielo, il mutare delle stagioni. Con
queste Memorie Turgenev non ci offre soltanto un documento importante della
civiltà contadina russa, ma un libro che con straordinaria naturalezza
trasmette al lettore l’impressione della vita.
RECENSIONE:"Memorie
di un cacciatore" è una raccolta di 25 racconti, pubblicati da Turgenev a
metà Ottocento. Pur non essendo amante dei racconti, mi sono avvicinata a
questo testo perché chi me lo aveva consigliato, era una persona di cui mi
potevo fidare..."Difficile scrivere dopo di lui" diceva Tolstoj. L'ispirazione
per questi racconti, viene da esperienze vissute direttamente dall'autore. "Uno
dei principali vantaggi delle caccia, miei cortesi lettori, sta nel fatto che
essa vi costringe a passar di continuo da un posto all'altro, cosa che per un
uomo disoccupato è molto piacevole". I suoi non sono semplici racconti per
intrattenere i lettori, ma sono delle vere e proprie denunce nei confronti del
sistema russo in cui "quel che era vecchio è morto e quel ch'è nuovo non
nasce!". Turgenev racconta le cattive condizioni di vita dei contadini
servi e dei piccoli proprietari terrieri. Ogni personaggio è diverso
dall'altro, ognuno con il suo carattere e con le sue storie. Sono racconti
brevi ma completi. La vecchia Russia, immersa in tutta quella campagna
sconfinata, con le sue tradizioni, i rapporti tra contadini e possidenti, in
una nazione in cui:
"Vivendo allora come
molti vivono in Russia, senza un quattrino, senza stabile occupazione, campava
poco meno che di manna dal cielo".
Turgenev con la sua
scrittura conquista il lettore; è così attento alle esigenze dei suoi
"sostenitori" da rivolgersi molto spesso direttamente ad esso. Descrittivo,
realista ed incisivo, ha conquistato le persone del suo tempo, ma direi anche
quelle del nostro. Alcuni affermano che grazie anche al suo contributo, che ha
colpito molto la popolazione russa, si sia giunti all'abolizione della servitù
della gleba.
TITOLO: L’IMPORTANZA
DI CHIAMARSI ERNESTO
AUTORE: Oscar
Wilde
CASA
EDITRICE:Bur
N.
PAGINE: 208
VALUTAZIONE: 4/5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere una commedia davvero
divertente e ironica che si legge velocemente. Un Wilde davvero contemporaneo”.
TRAMA:Salutata
al suo apparire dalla perplessità di critici e letterati, L'importanza di
chiamarsi Ernesto – dopo un secolo di felicissima e intensa vita sui
palcoscenici di tutto il mondo – e ormai universalmente riconosciuta come un
geniale, straordinario e rigorosissimo "nonsense", che anticipa tutte
le più moderne risultanze del teatro dell'assurdo. Questa commedia fu scritta
tra il 1894 e il 1895, in quel momento della vita di Wilde che precede la sua
rovina, alla vigilia del processo che lo condurrà in carcere, e al quale egli
va incontro testardamente e ciecamente, in una sorta di furia autodistruttiva.
Wilde scrive in quest'opera le sue pagine più disincantate e fresche, più spensierate
e felici.
RECENSIONE:Oscar Wilde per me è uno
scrittore senza tempo. Il suo stile è così contemporaneo che è difficile
considerarlo un autore del XIX secolo. "L'importanza di chiamarsi
Ernesto" è una commedia teatrale, suddivisa in tre atti. I personaggi sono
pochi, simpatici ed ironici. Un'opera scritta così bene, al punto tale da
permettermi di "vivere" una commedia in poltrona. Durante la lettura
è come se i personaggi si fossero materializzati davanti a me. La sua brevità
non ha intaccato il racconto; una scrittura brillante ed ironica che mi ha
fatto ridere e sorridere per l'intera opera. Amore, simpatia, equivoci,
provocazioni e tanto stile "Wilde" mi hanno fatto capire perché è
importante chiamarsi.. Ernesto. Vi lascio con questa frase:
"A dire il vero, a me
non piacciono i fidanzamenti lunghi: danno ai fidanzato la possibilità di
conoscere il carattere dell'altro prima di essersi sposati, e questo non è mai
prudente".
TITOLO: IL
DEMONE MESCHINO
AUTORE: Fedor
Sologub
CASA
EDITRICE:Garzanti
N.
PAGINE: 310
VALUTAZIONE: 5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un russo poco conosciuto
che è perfetto sia per gli amanti degli autori russi sia per chi, per la prima
volta volesse avvicinarsi a questi grandi autori. Stupendo!”.
TRAMA:Con
il personaggio di Peredonov, un insegnante paranoico, vittima e persecutore di
una società angusta e squallida, Sologub ha creato un archetipo simbolico di
suggestiva follia e di agghiacciante crudeltà. Narrandone l'ossessiva attesa di
promozione sociale e i malvagi propositi, l'autore gli affianca un fantasmatico
alter ego, il demone Nedotykomka, mostro della ragione o incubo proiettato.
Nella vicenda, immersa nelle tonalità cupamente realistiche della provincia
russa, lo scrittore alterna sapientemente, assecondato da una perfetta
duttilità stilistica, realtà e fantasia, satira e grottesco, commedia e
tragedia. Così la scrittura di Sologub rivela la sua vera vocazione.
Presentare, nei connotati puntuali di una vita cittadina, una disperata
allegoria dell'esistenza umana.
RECENSIONE:Fëdor
Sologub, nome d’arte di Fëdor Kuz’mic Teternikov, è un autore pietroburghese
purtroppo poco conosciuto in Italia. “Il demone meschino” è un capolavoro e il
titolo non ti può preparare al contenuto romanzo. Ero convinta di trovarmi
qualcosa di mostruoso o di fantasioso, invece mi sono trovata Peredònov. Peredònov
è un insegnante del ginnasio, tra le sue caratteristiche più salienti, oltre ad
un bell’aspetto, risaltano: l’essere paranoico (ai massimi livelli), volgare,
stupido, irrispettoso nei confronti dei polacchi, ingiusto, cattivo,
superstizioso e spesso affiancato dal demone Nedotykomka. Pur avendo tutte
queste “doti”, il nostro protagonista è conteso da molte donne del paese.
Sologub presenta, in maniera sublime, le vicende di un piccolo paese russo (il
romanzo è stato pubblicato nel 1905), dove le persone sono bigotte, invidiose,
pettegole e religiose. Poco tempo fa ho letto “L’esclusa” di Pirandello e nel
piccolo paesino russo ho trovato anche “un po’ di Sicilia”. I personaggi sono
molti, ed i nomi russi non aiutano, ma pagina dopo pagina sarà sempre più
semplice riconoscerli. Inoltre Sologub di ognuno di loro ci lascia una
descrizione minuziosa e dettagliata. C’è Volòdin che sembra un montone, Varvàra
sciatta ed imbrogliona, la Verìga calcolatrice e spavalda, le signorine
Rutilov, civette e spensierate, la Grusina, pettegola e maligna e il giovane
Sasa, ingenuo e timido. Tutto ruota intorno a Peredònov ed alla sua voglia di
diventare ispettore. Sologub ci presenta un’opera completa e geniale, dove
possiamo trovare realtà e fantasia, satira e grottesco, commedia e tragedia. Spero
di avervi convinto ad avvicinarvi a questo autore, io ne sono rimasta
incantata. Lo consiglio vivamente.
TITOLO: CUORE
DI TENEBRA
AUTORE: Joseph
Conrad
CASA
EDITRICE: Einaudi Classici
N.
PAGINE: 120
VALUTAZIONE: 3
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un classico sul
colonialismo, personalmente non così coinvolgente come solitamente viene definito
questo libro”.
TRAMA:Nel
1890 Conrad si recò per sei mesi in Africa: ne ritornò quasi in fin di vita,
con un bagaglio di ricordi, disillusioni e "disgustosa conoscenza" da
cui, nove anni dopo, sarebbe nato "Cuore di tenebra". Marlow, il
protagonista, viene ingaggiato da una compagnia commerciale e mandato in Congo.
Qui, viaggiando tra gli orrori del colonialismo, incontra Kurtz, enigmatico
personaggio reso folle dalla solitudine e da una "volontà di potenza"
nella quale la civiltà bianca rivela il suo vero volto: quel "cuore di
tenebra" che non è tanto l'oscurità della wilderness africana, quanto
l'identità - la colpa - dell'uomo europeo.
RECENSIONE:Conrad,
a fine Ottocento, trascorse sei mesi in Africa e ne tornò, oltre che
fisicamente, anche psicologicamente distrutto. Questa esperienza è sicuramente
rimasta indelebile e indimenticabile per l’autore, tanto da portarlo a scrivere
alcuni anni dopo “Cuore di tenebra”. Marlow, il protagonista, si ritrova una
sera a raccontare la sua esperienza in Africa, alle dipendenze di una compagnia
commerciale. Un’esperienza che l’aveva portato nel cuore delle tenebre, dove le
persone del posto, i veri “proprietari” di quelle terre, venivano trattate
come: “Costoro non erano nemici, non erano delinquenti, non erano più nulla di
terrestre ormai”, “Sicuro, - grugnì l’altro – impiccalo! Perché no? In questo
paese si può fare tutto – tutto”, “Si potevano contar loro le costole, e le
giunture delle membra parevano nodi su di una corda; ognuno aveva al collo un
collare di ferro..”. L’argomento trattato da Conrad è veramente delicato ed è
una delle “piaghe” della società che purtroppo in molti ancora non hanno capito
e che in alcune parti del mondo è ancora praticata. Ho sempre sentito parlare
molto bene di questo libro e mi è stato più volte consigliato. Ma pur essendo
composto da solo 120 pagine, ho fatto davvero fatica a leggerlo. Lo stile di
Conrad non è, almeno per me, molto coinvolgente. In alcune parti è stato
difficile tenere alta l’attenzione. Ho già letto altri libri su quest’argomento
e altri autori mi sono arrivati di più “al cuore”. Rimane comunque un classico
e come tale va letto, ma forse non con aspettative così alte come quelle con
cui sono partita io. Sarò una voce fuori dal coro, ma volevo far sentire anche
la mia voce.
AUTORE: P.-A.-F- Choderlos De Laclos
CASA EDITRICE: Feltrinelli
N. PAGINE: 373
VALUTAZIONE: 4
AUTORE: P.-A.-F- Choderlos De Laclos
CASA EDITRICE: Feltrinelli
N. PAGINE: 373
VALUTAZIONE: 4
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un classico
raccontato in forma epistolare in cui la
società francese, del Settecento, si mostra al suo peggio!”.
TRAMA:Romanzo
epistolare lucido e amaro, altamente drammatico, implacabile atto d'accusa
contro i costumi della nobiltà cortigiana, il libro suscitò grande scandalo
nella Francia del XVIII secolo. Laclos presenta il quadro realistico di una
società moralmente dissoluta e crudele attraverso gli intrighi intessuti da due
libertini senza scrupoli - un visconte e una marchesa - per giungere,
attraverso il raggiro e senza la minima cura per l'altrui rovina, all'autentico
possesso, fisico e morale, di altri esseri gravitanti attorno al loro mondo.
RECENSIONE:“Le
relazioni pericolose” è stato pubblicato per la prima volta nel 1782 e se il
libro può far ancora scandalizzare, mi posso immaginare cosa può aver suscitato
al tempo della sua prima edizione. Il libro, infatti, fu bandito e messo sotto
accusa. Ambientato a Parigi, nel tempo coevo alla sua pubblicazione (in un 17..
non specificato), il romanzo ci racconta di come non c’è niente di più
pericoloso, di una donna rancorosa in cerca di vendetta. Due sono i burattinai
e molte le loro marionette. Tutto nasce dalla sete di vendetta della Marchesa
di Merteuil che per vendicarsi di un ex amante, decide di chiedere la
collaborazione del libertino Visconte di Valmont. Per vendicarsi, il piano è
tessuto intorno ad una tela che implicata la presenza di molte persone, che loro
malgrado, si ritroveranno coinvolte in un giro di relazioni pericolose. Tra
loro spicca l’ingenua Cécile, quindicenne appena uscita dal convento, il cavalier
Danceny, innamorato inesperto e la pura presidentessa di Tourvel. Il libro è
una raccolta epistolare che coinvolge la corrispondenza tra i nostri
personaggi. Dubbia è la provenienza di queste lettere, l’editore ne vede
difficilmente possibile la veridicità. Lo stile dell’autore non ti permette di
“entrare” nel romanzo ma ti fa vivere qualcosa d’insolito. Il lettore diventa
lo spettatore di questo teatrino, in cui i burattinai manovrano le loro
marionette e gli fanno fare quello che vogliono. Laclos è davvero molto critico nei confronti
della sua società. I suoi due burattinai sono meschini, insensibili, rancorosi
e privi di emozioni pure. Non si fermeranno davanti a niente e nessuno, neanche
all’ingenuità di una ragazzina il cui unico torto è stato quello di fidarsi
delle persone sbagliate. Un libro che non può lasciare indifferenti, in cui gli
intrighi, le bugie e le cattiverie ci mostrano una società francese dissoluta e
peccaminosa. L’unico ostacolo possono essere le 175 lettere che ci sono da
leggere per arrivare alla fine. Ho visto anche il film, dove ho potuto
apprezzare una Close Glenn e un John Malkovich davvero impeccabili, nei ruoli
dei due protagonisti. Lo consiglio vivamente! Buona lettura.
TITOLO: SENSO
AUTORE: Camillo
Boito
CASA
EDITRICE: Leone
N.
PAGINE: 62
VALUTAZIONE: 4
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un classico, in cui la
follia di una donna ha il ruolo centrale”.
TRAMA:"Forte,
bello, perverso, vile, mi piacque". Con queste parole la contessa Livia
Serpieri qualifica la natura della sua morbosa passione per il tenente Ruz. Ha
inizio una travolgente vicenda sentimentale, che farà vivere alla protagonista
di questo racconto l'adulterio, ma anche una cocentissima delusione e la più
spietata delle vendette. Con Senso, Boito ci offre la chiave d'accesso a una
stanza tormentata dal desiderio bruciante e da un'appassionata torbidezza. Un
cuore femminile ricco di frenetici entusiasmi e splendida abiezione, disegnato
attraverso una prosa, che, per converso, spicca per la sua limpida eleganza. A
questo racconto Luchino Visconti si ispirò per l'omonimo film del 1954 con
Alida Valli nella parte della contessa Serpieri.
RECENSIONE:“Senso”
è un cortoromanzo d’amore pubblicato da Camillo Boito nel 1883. L’opera è
scritta sotto forma di diario e la protagonista è la Contessa Livia Serpieri,
che alla soglia dei quarantenni, grazie alla corte di un avvocatino che gli fa
tornare in mente gli episodi della sua gioventù, ci racconta la storia del suo
grande amore. Era il 1865 e la novella sposa aveva ventidue anni e si trovava a
Venezia con il conte, un uomo molto più vecchio di lei. La scelta non le era
stata imposta dalla famiglia ma proprio da lei, che in quest’unione non vedeva
amore, ma vedeva molta convenienza, fra cui carrozze, brillanti, abiti di
velluto, titolo… Tutto inizia quando Livia si ritrova infatuata di Remigio,
tenente austriaco, che con la nostra protagonista ha molto in comune. Oltre ad
avere un aspetto molto piacevole, questo tenente Ruz era un giocatore di carte,
uno sperperatore e soprattutto un uomo di poco onore. Insomma Livia, senza
rendersene conto s’innamora proprio di un uomo così simile a lei. Ma gli eventi
prendono una brutta piega e la Contessa non è una donna abituata a perdere. Boito
ci presenta una donna vanitosa, egoista, e superficiale che diventa poi una
donna gelosa, ossessionata e vendicativa. Una donna ferita può diventare
davvero molto pericolosa. Quello che colpisce il lettore, o almeno me, è che
Livia è anche una donna non pentita ma recidiva. Sullo sfondo di un’Italia che
cambia, in piena guerra, questa storia d’amore, se così si può chiamarla, porta
alla luce molte debolezze umane. Tutto questo avviene in circa cinquanta pagine
da cui poi Luchino Visconti ha preso ispirazione per la realizzazione del suo
film del 1954. In realtà non ha preso solo spunto, ci sono delle modifiche
all’interno della trama, ma sono lievi, quello su cui invece ha lavorato il regista
è lo sfondo politico e rivoluzionario del tempo. Visconti approfondisce una
trama un po’ scarna, “condendola” con degli ingredienti che la vanno a
completare. Ho apprezzato molto il film e lo consiglio a tutti quelli che si
avvicineranno a quest’opera. Per concludere, posso dire di aver trovato una
degna compagna della Marchesa de Merteuil, protagonista del libro “Le relazioni
pericolose”, anche se in Livia ho trovato, anche se credevo impossibile, della
cattiveria in più. Insieme avrebbero fatto faville…o si sarebbero fatte fuori a
vicenda. Buona lettura!
TITOLO: LE
NOTTI BIANCHE
AUTORE: Fedor
Dostoevskij
CASA
EDITRICE: Mondadori
N.
PAGINE:105
VALUTAZIONE:4/5
“Consigliato a chi ha voglia di
leggere un piccolo libro di un
grande sognatore. Un Dostoevskij alla portata di tutti!”.
TRAMA:Il tema del "sognatore
romantico", dell'eroe solitario che trascorre i suoi giorni immerso nella
dimensione del sogno, in un paradiso di illusioni, malinconicamente sofferente
e lontano dall'incolore e consueta realtà dell'esistenza quotidiana, percorre
come un filo d'Arianna questo racconto.
RECENSIONE:Una notte, San Pietroburgo
e due anime. Un incontro casuale di due persone destinate a incontrarsi. Lui è
il sognatore, lei è la diciassettenne Nasten’ka. Lui ritrova la gioia di
vivere, lei vuole cominciare a vivere. Lui è un uomo solo, completamente solo e
si definisce un tipo. Lei ha un’infanzia particolare. Su una panchina, dove si
ritroveranno anche altre notti, si raccontano e si trovano. Lui: “ Aspettavo
che Naten’ka, che mi ascoltava spalancando i suoi occhi intelligenti, si
mettesse a ridere con il suo riso infantile, irrefrenabile e allegro e mi ero
già pentito di essermi spinto così avanti e di aver raccontato invano quello
che da molto tempo mi bolliva nel cuore, cose di cui potevo parlare come se
fossero state scritte, perché già da tempo il mio racconto era pronto, e
pertanto non mi trattenni dalla lettura, dalla confessione…”. Poi venne il
turno di lei e raccontò la sua storia “Voi conoscete già la mia vita per metà,
cioè sapete che vivo con una vecchia nonna…”. Dostoevskij ha catturato la mia
attenzione, sono stata anch’io su quella panchina a sentire le loro storie, la
loro vita e le loro speranze. Ho sofferto, ho gioito ed ho soprattutto atteso.
Sognando insieme al sognatore si è anche consapevoli che prima o poi i nodi
verranno al pettine, e leggi, e attendi, il momento in cui accadrà, perché lo
sai che accadrà. Un racconto che colpisce, letto con un velo d’inquietudine;
un’inquietudine che non ha tolto niente al piacere della lettura. Posso
solo consigliare a tutti di dedicare poche ore del proprio tempo a questo
testo, ne sarete ripagati con gli interessi.
“Quanto più siamo infelici,
tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri; il sentimento non si
frantuma, ma si concentra…”.
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